Relazione storica
La storia ed il rapporto con il territorio di origine
La Ricotta di Bufala Campana, così come le altre Ricotte ottenute dal siero del latte di altre specie animali, ha la particolarità che deriva in grande parte da una materia prima, il siero, che a sua volta è il sottoprodotto risultante dalla caseificazione del latte.
Il suo rapporto con il territorio geografico di origine è in realtà quindi mediato e mutuato dal rapporto che il latte ha con gli animali ed il territorio in cui è stato ottenuto.
La storia del rapporto della Ricotta di Bufala Campana con il territorio di origine è quindi di fatto la storia del rapporto con il territorio del latte con cui è stato prodotta la Mozzarella di Bufala Campana, dal cui siero origina la Ricotta.
Il rapporto tra Ricotta di Bufala Campana e Mozzarella di Bufala Campana (MBC) è strettissimo, come per altro la letteratura del passato testimonia: tutti quegli elementi che comprovano il legame della MBC con il suo territorio di origine di fatto si traspongono alla Ricotta di Bufala Campana.
La tradizione del modo di produrre della Ricotta di Bufala Campana trae invece a sua volta origine dalla propria storia e segue come per tutti i prodotti un’evoluzione tecnica che cerca di tenerla al passo con il progredire della tecnica, dei comportamenti alimentari e le modificazioni socio-economiche proprie di ogni periodo storico.
Il rapporto con il territorio di origine
La tradizione della produzione della “MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA” risale quantomeno al 1300 e racconta di un legame strettissimo con la produzione di Mozzarella di Bufala Campana e quindi l’arrivo del bufalo nel centro-sud d’Italia.
Guadagno, docente dell’ Università di Salerno, ha prodotto una importante ricerca storiografica corredata di un’ampia bibliografia dal titolo “MEMORIA STORICA E LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA” relativa all’introduzione del bufalo in Campania ed alla trasformazione del suo latte. Guadagno ricorda come il bufalo nostrale, discendente dal bufalo indiano, sia giunto in Italia nell’VIII sec al seguito delle orde barbariche, che nelle aree balcaniche lo avevano inserito nella loro economia; questa penetrazione è storicamente accertata e datata (Paolo Diacono, Historia Longobardorum (ed. Waitz), in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum longobardicarum et italicarum saec.VI-IX, (Hannover 1878), IV, 10.). I bufali nella loro penetrazione sul suolo nazionale hanno incontrato migliori condizioni ambientali rispondenti al loro habitat nel sud. Tra X ed XI secolo si sviluppò nelle aree tra Mondragone ed il Volturno il fenomeno dell’impaludamento ((Guadagno G., L’ager Falernus in età romana, in AA. VV., Storia Economia ed Architettura nell’ager Falernus Atti delle giornate di studio Falciano del Massico febbraio-marzo 1986 pag 37 a cura di G. Guadagno, Minturno 1987) ed il bufalo trovò un habitat idoneo ed il latte bufalino sostituì quello vaccino nella preparazione di quel laudatissimum caseum del Campo Cedicio, formaggio già citato da Plinio il Vecchio (Plinio, Naturalis Historia, XI 241). Le più antiche testimonianze (inizi del XII secolo) citano la presenza di bufali nel contesto economico dell’Abbazia di Farfa (Cantù M. C., I bufali in Italia dall’alto medioevo ad oggi, p. 33. Unione Agricoltori Varese, 1989 ). Nel XIII secolo la diffusione del bufalo è documentata in Capitanata (Fiorentino, Montecorvino, Foggia e Lucera), nel Salernitano, Sicilia e plaghe pontine (Cantù M. C., l. c., p. 42; Faraglia M., Storia dei prezzi in Napoli dal 1131 al 1860, (Napoli 1878), p. 73; AA. VV., Insediamenti benedettini in Puglia Catalogo della Mostra a cura di M. S. Calò Mariani, II/l,( Galatina 1981), p.75. Carucci C., Codice diplomatico Salerinitano del Secolo XIV (Salerno 1950) I pp. 72; 436; II 449; 462; 481; 483) oltre che in altre zone d’Italia. Tuttavia solo verso la fine del ‘300 un Anonimo toscano nel suo “Libro di cucina” parla dell’utilizzazione del latte bufalino per produrre un generico “…. cascio bufalino….che è tenero e grasso…” e fila una volta posto sullo spiedo al fuoco (Anonimo toscano del trecento, Libro della cocina, in L’arte della cucina in Italia a cura di Emilio Faccioli, (Torino 1987), p. 66). Una delle prime citazioni della Ricotta, associata alla Mozzarella ed a altri latticini è fatta in un libro di cucina pubblicato nel 1570 da Bartolomeo Scappi cuoco della Corte papale ove pervenivano specialità da ogni parte d’Italia e d’Europa che cita “…capo di latte, butiro fresco, ricotte fiorite, mozzarelle fresche et neve di latte…” (Scappi B., Opera, (Venezia 1570), c. 275r.). Il termine di mozzarella fresca è usato perché all’epoca con il latte di bufala si producevano anche le provole, formaggi a conservazione più prolungata, come sembrano suggerire quanto scritto nei contratti per l’appalto del prodotto della “Reale Industria della pagliara delle bufale” a Carditello ove si stabiliva che la mozzarella doveva restare nella salsa 24 ore, mentre la provola 48 (Archivio della Reggia di Caserta, Serie “Carditello e Calvi”, fasc. 675: Conti della Reale bufalaria e Carbone dal primo gennaro a tutt’aprile 1790, c. 506.).
I documenti di Archivio risalenti al XVII secolo confermando quanto riferito da Scappi evidenziano che a fianco dei tipici prodotti del caseificio bufalino sul mercato capuano affluiscono provole e mozzarelle affumicate nonché ricotte di vacca e di bufala salate ed affumicate (Biblioteca del Museo Campano di Capua, “Archivio Storico di Capua”, fasc. 159: Libro delle Assise della città di Capua, passim.). Fin qui la ricostruzione storiografica del Prof. Guadagno.
Il rapporto con la tradizione produttiva
Notizie più dettagliate e dirette sulla Ricotta di Bufala Campana si ritrovano a partire da metà 1800. Nel 1859 Achille Bruni, Professore della Regia Università di Napoli, nella sua monografia “Del latte e dei suoi derivati” pubblicata nella Nuova Enciclopedia Agraria, descriveva in sintesi come si produceva allora la Ricotta di Bufala: “Munto il latte e versato in tinozza, vi si mette il caglio di capretto; e dopo di essersi rappreso con la spatola di legno si taglia a pezzi grossi. Indi con una cazzuliera di legno si leva il siero che si fa bollire per trarne la ricotta.” All’Esposizione Nazionale di Caseificio tenutasi a Portici nel 1877 (Annali di Agricoltura 1879 n° 20 della Direzione dell’Agricoltura del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio) assieme a diverse specialità di Mozzarella di Bufala prodotte nella provincia di Napoli sono presentate anche alcune Ricotte, fra cui la Ricotta in “salvietta” cosi definita perché presentata avvolta in una salvietta e la Ricotta con frutti . Santojanni nel 1911 nelle sue “Note sul caseificio del latte di bufala” conferma ulteriormente il legame storico e tecnologico tra produzione di Mozzarella e di Ricotta di Bufala specificando inoltre che “la ricotta che si ha col solo riscaldamento del siero si chiama fior di ricotta. Tolta questa, al siero si aggiunge un po’ di siero acido, e si ha dell’altra ricotta meno squisita della precedente perché più povera di grasso”.
Il forte legame con il territorio e le sue modificazioni conseguenti alle operazioni di bonifica hanno influenzato negli anni le alterne fortune dell’allevamento bufalino e con esse la produzione del latte e quindi della MBC e della Ricotta di Bufala.
Forse, anche per la minor attenzione che da sempre la Ricotta suscita soprattutto a livello di indagine statistica essendo spesso inglobata genericamente nei prodotti freschi, nonostante la sua produzione nell’area campana sia documentata da tempo, la Ricotta di Bufala non è citata tra i derivati del latte censiti nel Censimento generale dell’agricoltura del 1937.
Savini in un suo studio sulla Ricotta nel 1950 cita anche la Ricotta di Bufala: “nella campagna romana e casertana, dove esiste caseificio bufalino, il siero residuale serve pure alla preparazione della ricotta. Questa però non viene posta in commercio, ma veniva utilizzata dai contadini e dagli operai delle varie aziende. Il sapore di questa ricotta è gradevole allorché è freschissima, ma inferiore a quello della ricotta di pecora e come questa si altera rapidamente e con facilità”. Le poche parole di Savini documentano comunque la scarsa attenzione ad un prodotto allora di scarso peso commerciale, ma comunque ben presente nei consumi delle popolazioni locali. Occorre arrivare al 1983 con i lavori di Mincione et al e di Addeo e Coppola per trovare un’attenzione specifica al modo di produrre la Ricotta di Bufala ed alla sua composizione.